Domani alle 11.30 sono allo stabilimento "Il Tritone" di Ladispoli  (lungomare Marco Polo, 23) per presentare "Paese che vai, giornalismo che trovi". Secondo anno di "L'aperitivo letterario" e seconda volta che mi invitano. E io ci vado volentieri. Vi aspetto.



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Torno dalla due giorni di Firenze per il Dig.it, primo incontro nazionale sul giornalismo digitale, con un po' più di ottimismo. Lo dico senza l'intento di voler compiacere qualcuno. È la verità. Perché vedete queste occasioni di solito si trasformano in una sequela di incontri in cui i giornalisti iniziano a parlarsi addosso senza ritegno di quanto siano bravi oppure di quanto questa professione stia finendo nel dirupo. In questo anche noi precari siamo fenomenali. 
Invece per due giorni, fatta salva qualche piccola eccezione, ho imparato. Sembra incredibile ma il Dig.it ha dimostrato che un convegno può ancora insegnare qualcosa. Il panel del "Mago dei numeri" Pier Luca Santoro è stato esaustivo e ha spiegato, dati alla mano, quale sia il quadro generale dell'editoria online in Italia. Qui sotto la sua presentazione.
 
In tutto questo, però, resta sempre ben chiaro che, analogico o digitale che sia, il giornalismo italiano prosegue nell'imbarazzante giochetto dello sfruttamento dei giornalisti. L'online in Italia è ancora oggi una zona d'ombra in cui gli editori pensano di poter fare di tutto. Vi basti prendere un portale per la ricerca di lavoro e tra le offerte vedere che quasi tutte non prevedono retribuzione. E il 90% (mi tengo basso) riguardano testate online o fantomatiche tali. "Però ti diamo visibilità" dicono. Con la visibilità non ci pago le bollette. Sarò strano io. 

Dall'altro lato ci sono i grandi gruppi editoriali che trattano, ancora oggi nel 2012, la parte online come se fosse qualcosa da fare "perché lo fanno tutti". E magari piazzano quattro o cinque giornalisti a gestire un sito che dovrebbe occuparsi di informazione internazionale, nazionale e locale, gallerie fotografiche, video e in più gestire la pagina Facebook e l'account Twitter. Il risultato sono quotidiani online vecchi. Ma gli editori, come ha detto ieri Ciro Pellegrino "anche stavolta tra i grandi assenti", parlano ancora di internet come del futuro. 

Il problema è che il giornalismo online non è il futuro ma il presente e per come lo intendono gli editori in Italia sarebbe meglio dire che è trapassato.