Tutti noi usiamo emoticon e con il passare del tempo se ne trovano sempre di più e per tutti i gusti. Bene, per chi ama la musica Bruno Leo Ribeiro, art director brasiliano che vive in Finlandia, ha creato MusicEmojis un blog in cui pubblica continuamente emoticons di gruppi musicali e cantanti da lui creati.

Ce ne sono di tutti i gusti e anche parecchi degli anni Novanta. Eccone alcuni:

1. Spice Girls


2. Nirvana


3. Backstreet Boys 


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Se senti il nome Scatman John ti viene subito in mente un tizio bassino, con baffetti e che canta una cosa tipo "Ski bi di bi di do bap do/Do bam do/Bada bwi ba ba bada bo/Baba ba da bo/Bwi ba ba ba do". Nulla più. Un tormentone estivo datato 1994. Quello che, forse non sai, è la storia dietro questo tizio col baffetto e cappello e la faccia simpatica che purtroppo se ne andò nel 1999.

Gli inizi. Scatman John, il cui vero nome era John Paul Larkin, ha trascorso gran parte della sua vita tra club, hotel, navi e bar suonando jazz e improvvisando scat tra una bottiglia e l'altra.

Soffrendo di balbuzie la vita sin da piccolo per lui non è stata molto semplice. Derisioni, bullismo e difficoltà nel poter esprimere quello che aveva dentro. Poi un giorno l'incontro che cambia la vita quello col pianoforte e la musica di Ella Fitzgerald e John Coltrane.

Inizia a suonare, John Paul Larkin, e ad improvvisare musica scat. La balbuzie semplicemente sparisce. Quando suona si sente senza freni. Quando suona non ha freni.
Gli abusi. Scatman, però, sin da giovanissimo fa anche un altro incontro che gli cambia la vita: quello con l'alcol e droga che si porteranno via uno dei suoi migliori amici. Siamo nel 1986 e John Larkin resta di sasso e vuole uscire dall'incubo. Lo farà anche grazie alla moglie Judy.

In una intervista del 1995 racconta:
Provavo così tanta vergogna per la balbuzie che ho quasi distrutto la mia vita con alcol e droghe fino al 1987 quando ne uscii completamente. Non era nemmeno più così importante essere un musicista jazz. Misi la mia vita nelle mani di Dio e decisi di seguire il cammino che mi avrebbe indicato. Evidentemente voleva che coltivassi il mio talento e la mia passione [...] La balbuzie mi ha controllato per tutta la vita, ne ero una vittima. Ma oggi non più. 
Il trasferimento in Europa. Stanco di suonare negli stessi posti e dopo un album dal titolo "John Larkin" nel 1986, si trasferisce con la moglie a Berlino dove inizia a suonare in vari locali e incontra il suo agente con il quale nel 1994 mette le radici per il suo successo mondiale. Unire lo scat con la musica dance.

John Larkin diventa Scatman John.


Il successo è enorme e porta Scatman a diventare quello per cui è conosciuto e ricordato oggi. In Giappone, poi, è una specie di idolo. Questo pezzo diventa anche un messaggio di speranza per tutti i balbuzienti, soprattutto i bambini.
Everybody stutters one way or the other
So check out my message to you
As a matter of fact
Don't let nothing hold you back
If the scatman can do it, brother
So can you, I'm the scat man.
Anche il testo del secondo singolo - Scatman's World - sapendo la sua storia suona diversamente.
Everybody's talkin' something very shockin' just to
Keep on blockin' what they're feelin' inside but
Listen to me brother, you just keep on walkin' 'cause
You and me and sister ain't got nothin' to hide.
Scatman, fat man, black and white and brown man
Tell me 'bout the colour of your soul.
If part of your solution isn't ending the pollution
Then I don't want to hear your stories told.
I want to welcome you to Scatman's world.
Gli ultimi anni. Come spesso succede per le hit dell'estate, il successo resta legato ad un arco di tempo piuttosto breve. E di lì a poco Scatman John scopre di avere un tumore al polmone. Non smetterà di cantare fino all'ultimo. Parte della sua storia è raccontata anche in un documentario dispinibile sul suo canale You Tube ufficiale.

Si racconta che un giorno parlando della sua malattia che evidentemente peggiorava sempre più, disse:
Qualsiasi cosa Dio voglia per me, va bene. Ho avuto una vita meravigliosa. Ho assaporato la bellezza.
Se ti interessa puoi acquistare l'album Scatman's World in formato Mp3 su Amazon a questo link.

Scatman's World
Wikipedia
Qualche giorno fa il metereologo della tv inglese Channel 4, Liam Dutton, è diventato un tormentone della rete grazie alla sua pronuncia (perfetta a quanto pare) della città gallese di Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch.


Questa cittadina di poco più di tremila abitanti detiene il record per il nome più lungo d'Europa e il secondo del mondo con ben 58 lettere.

La cosa che più sorprende, cercando informazioni sulla città, è che il nome deriva da una mera e pura idea pubblicitaria. Nel 1860 si decise di allungare il nome per renderlo il più lungo del Regno Unito e tentare di attrarre un po' di turisti. La storia vuole l'origine del nome contesa tra un calzolaio e un sarto.

Cosa significa Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch?

"Chiesa di Santa Maria nella valletta del nocciolo bianco, vicino alle rapide e alla chiesa di San Tysilio nei pressi della caverna rossa".

Su You Tube si trova anche un video che spiega, cantando, come pronunciarlo.


Quindi, cercando di sintetizzare. Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch nasce per attirare più turisti ed è finito per diventare un'attrazione (seppur sicuramente non tra le prime o le più importanti) del Galles.

Dunque una città piccola, senza enormi risorse, si è inventata un modo per diventare appetibile ai turisti, fosse anche per farli fermare qualche ora per una birra, qualche foto sotto al nome del paesello e poi via.

Qualche giorno fa a Pompei è caduto un altro pezzo di muro.

A riascoltarli oggi non passa certo inosservata la loro vena funky, vera e propria rivelazione negli anni 90. I Dirotta su Cuba portarono, senza ombra di dubbio, qualcosa nel panorama italiano che prima non c'era con il "via libera" all'acid jazz.

Il gruppo fiorentino - composto da Rossano Gentili, Stefano De Donato e Simona Bencini - spopolò per tutti gli anni Novanta riscontrando un notevole successo di pubblico e vendite, salvo poi dividersi nel 2004. Nel 2009 la reunion che ha portato poi nel 2012 all'uscita di un nuovo singolo "Ragione o sentimento".

Le canzoni dei Dirotta su Cuba si sono sempre distinte per la forte carica e lo "sprint" che potevano dare a una giornata monotona. Ecco quindi 4 canzoni dei Dirotta su Cuba che cambieranno la tua giornata!

1. Gelosia (1994)



2. Liberi di liberi da (1995)



3. È andata così (1997)



4. Bang! (1999)



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Youssou N'Dour è senza ombra di dubbio il cantante africano più conosciuto in Italia. L'artista senegalese è inoltre riconoscuto come un idolo nel suo paese d'origine e in gran parte del continente africano. La sua lunga carriera lo ha portato in tutto il mondo e a duettare con cantanti del calibro di Peter Gabriel, Tracy Chapman, Lou Reed e Sting solo per citarne alcuni.

Una carriera di tutto rispetto, non c'è che dire, che esplose negli anni Novanta - nel 1994 precisamente - con la pubblicazione della canzione "7 Seconds" cantata in coppia con la cantante Neneh Cherry. Una melodia accantivante e soprattutto un testo impegnato in cui si fa riferimento ai primi 7 secondi della vita di un bambino in cui è ancora inconsapevole dei problemi del mondo. La canzone ha venduto oltre un milione e mezzo di copie in tutto il mondo e il video è ancora oggi impossibile da dimenticare.


Ma da quel momento in poi cosa ne è stata della vita di Youssou N'Dour? Diciamo che non se ne è stato con le mani in mano e quindi ecco 7 cose che Youssou N'Dour ha fatto dopo 7 seconds.

1. Inno dei Mondiali di Francia (1998)


Nel 1998 Youssou N'Dour ha scritto e cantanto insieme a Axelle Red "La Cour des Grands", l'inno ufficiale dei Mondiali di Francia 1998.

2. Ambasciatore della FAO (2000)
You Tube
Nel 2000 viene nominato ambasciatore della FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura

3. Project Joko (2001)


Ha lavorato insieme a Nazioni Unite e Unicef alla creazione del progetto Joko per creare internet cafè in africa e per collegare i senegalesi in giro per il mondo.

4. Grammy Award (2005)
blog.kexp.org
Nel 2005 si aggiudica un Gramy Award per l'album Egypt.

5. Organizzazione di microcredito Birima (2008)
You Tube
Nel 2008 ha creato una organizzazione per l'erogazione di microcredito che si chiama Birima come il titolo di una sua canzone.

6. Festival di Sanremo (2009)
You Tube
Sì, sì non ricordi male. Nel 2009 Youssou N'Dour ha partecipato al Festival di Sanremo insieme a Pupo e Paolo Belli con una canzone che si intitola "L'opportunità".

7. Ministro della Cultura e del Turismo del Senegal (2012)


Dopo aver tentato di correre alla presidenza del Senegal senza ruscirci (a causa di una difficoltà nel verificare le firme che appoggiavano candidatura) Youssou N'Dour è stato nominato Ministro del Turismo e della Cultura.

foto Amy McTigue/Flickr
A Febbraio del 2016 saranno tre anni che vivo a Dublino. Tre anni da emigrante/cervello in fuga/expat o quello che volete voi. Io mi sono sempre considerato quello che sono in realtà, un immigrato, perché mi hanno insegnato sin da piccolo a chiamare le cose con il proprio nome.

In tutto questo tempo, e anche per tutto il periodo precedente il mio trasferimento, ho assistito all'incessante aumento degli articoli sugli italiani che vivono all'estero. Giornali, tv, radio, blog, social media ecc...

Li ho sempre letti sia per interesse, sia per capire dove volessero sostanzialmente andare a parare. Fatti salvi alcuni esempi in cui si aggiungeva qualcosa di nuovo, il resto soprattutto negli articoli di commento o nei commenti agli articoli si è rivelato francamente un concentrato di fuffa irritante piena zeppa di luoghi comuni.

Ho letto articoli su come fuori sia tutto lindo e pinto, su come questa esperienza ti "cambi inevitabilmente la vita", su come ogni cosa fatta fuori dalla Svizzera in su sia perfetta e bla bla bla.

Ho letto altri pezzi in cui noi italiani all'estero veniamo disegnati come un branco di mangia parmigiano, incapaci di aprirsi alla realtà in cui vivono e ossessionati dalla necessità di stare con altri italiani. Pezzi che prendono a pretesto una cosa successa magari 30 anni fa per dire "vedi che allora in Italia non si sta male?".

Cosa. Minchia. State. Dicendo.

Il problema pricipale è che nel nostro paese siamo incapaci di affrontare un argomento senza uscire dallo schema A contro B, Bianco contro Nero, Roma contro Lazio.

Ho fatto il giornalista per 10 anni e capisco bene anche la necessità di offrire un quadro sintetico della situazione ma la verità è che la realtà è ben più complessa e non può - non deve - essere sempre ridotta a un litigio da social network.

Sono perdutamente innamorato dell'Irlanda e rifarei esattamente tutto quello che ho fatto perché qui ho trovato una serenità e una stabilità che il mio paese non mi ha offerto. Non vivo come "esiliato" ma penso che questa sia una opportunità che dovevo prendere al volo. E son contento.

So anche, però, che a differenza di un collega o amico - che ne so - tedesco ho meno facilità nel dire "Dublino mi ha rotto, torno a casa tanto un lavoro come quello che ho qui lo trovo". Ma va bene così. Non ho mai pensato di tornare.

E sì, ho anche amici italiani perché quando incontro una persona che mi sta simpatica non gli chiedo il passaporto. "Ah sei italiano? Cazzo allora niente birra stasera. Sai, non vorrei che qualche hipster di Cinisello Balsamo scriva sul blog che sono il tipico italiano stereotipato...".

E sì, mangio pasta, parmigiano e tutto il resto. Ma mangio anche altro così come facevo pure in Italia.

E sì, l'Irlanda probabilmente non è un paese perfetto. Anzi, togli il probabilmente ma il paese dei balocchi non esiste. A e B non sono netti nella vita reale. Uno vive in un posto e poi in un altro e dopo un po' di tempo valuta pro e contro e decide quali siano meglio per lui.

E no, cazzo, no il mio non è il punto di vista di ogni italiano che vive all'estero ma solo il mio.

E se qualcuno si azzarda a dire "ma hai scritto un pezzo sugli italiani all'estero" gli tiro una sediata sulle gengive.

Peace and Love.

Mmmbop/ba duba dop/ba du bop/ba duba dop. Siamo nel 1997 e gli Hanson irrompono nella scena musicale mondiale con Mmmbop. Un singolo che catapulterà i tre fratelli di Tulsa, Oklahoma, verso il successo planetario e a vendere in tutto 16 milioni di copie sino ad oggi.
Già, perché i tre ragazzini (i fratelli Hanson in tutto sono sette) dai lunghi capelli biondi che ricordiamo tutti, nel frattempo hanno continuato a suonare e crescere ed ora sono trentenni sposati con figli. Vediamo che fine hanno fatto gli Hanson.

Vita privata.
foto musictory.it e 365daysinmusic.com
Isaac (chitarra, basso, piano e voce) è il maggiore dei tre, classe 1980, è sposato ed ha tre figli. Nel 2007 è stato ricoverato d'urgenza per una embolia polmonare causata dalla sindrome Paget-Schroetter, una forma di trombosi venosa profonda degli arti superiori. Si è rimesso completamente.

Taylor (tastiere, piano, chitarra, batteria, voce) classe 1983 è sposato con una modella conosciuta durante un concorso di bellezza ad Atlanta. Hanno cinque figli.

Zac (batteria, piano, chitarra e voce) nato nel 1985 è anche lui sposato e ha tre figli. Zac ha conosciuto la moglie attuale lo stesso giorno in cui Taylor conobbe la sua. Entrambe le ragazze parteciparono al concorso di bellezza di Atlanta.

Hai capito i biondini di Tulsa...

Il rapporto con Mmmbop e soprattutto che vuol dire?



In un'intervista rilasciata a Songsfact.com nel 2004 Zac Hanson spiega: "Quella canzone ha iniziato come parte di fondo per un altro brano. Stavamo facendo il nostro primo album indipendente e abbiamo cercato di trovare un sottofondo. Inizialmente era un po' diverso ma si è bloccato nella nostra testa e ci siamo resi conto che non era destinato ad essere un sottofondo. Così dopo due anni abbiamo creato il resto della canzone. Mmmbop rappresenta una frazione di tempo o l'inutilità della vita. Tutto può svanire in un... Mmmbop".

Album.
foto sito Hanson
Gli Hanson hanno all'attivo 10 album. L'ultimo, Anthem, risale al 2013.

Etichetta Indipendente.
Nel 2003 i fratelli di Tulsa abbandonarono la loro etichetta per via di contrasti interni con la major e crearono una propria label indipendente che si chiama 3CG Records. 3CG significa "3 Car Garage" e oltre ad essere il titolo di un loro album, è anche un omaggio al garage che usavano come studio agli inizi.

Documentario. 




Proprio per raccontare le difficoltà e le varie tappe di questa nuova avventura con una etichetta indipendente, gli Hanson girarono un documentario dal titolo "Taking the Walk" che è visibile sul loro canale YouTube.

Birra.
foto sito Hanson
Esatto. I tre oltre a suonare in tutto il mondo e produrre musica e sposare modelle hanno anche avviato un piccolo business creando la propria birra. Si chiama Mmmhops...

E se leggendo tutto questo ti è venuta un po' di nostalgia. Ecco Mmmbop!




screenshot da Buddha of Oakland Vimeo
Uno dei vantaggi di avere un lavoro di ufficio è quello di poter ascoltare molta musica e podcast. Ultimamente ho scoperto Radiotopia che mette insieme diversi programmi radiofonici di qualità. Uno di questi si chiama "This is Criminal" e racconta storie criminali a 360 gradi: da delitti efferati (senza mai trascendere nel trash all'italiana) fino a storie di reati minori o collegate a reati vari.

Una di queste storie parla del Buddha di Oakland.

Dan Stevenson è un uomo comune che vive la sua vita tranquilla nella sua casa nel quartiere di Eastlake a Oakland in California.

La zona non è delle migliori perché ad alto tasso di microcriminalità: prostituzione, spaccio di droga, vandalismo, furti ecc... Una vita complicata ma Dan è uno che "si fa i fatti suoi" e quindi riesce ad andare avanti nonostante tutto. Quello che proprio non manda giù è la discarica abusiva che vede ogni santo giorno di fronte a casa sua. Materassi, divani, spazzatura varia ecc...

Lui e la moglie vogliono fare qualcosa per eliminare quell'immondizia davanti casa.

Ma cosa?

"Non sapevo bene cosa fare - racconta Dan Stevenson a "This is Criminal" - pensavo di mettere qualcosa nel mezzo di quella montagna di spazzatura. Non sapevamo cosa e poi un giorno vedemmo in un negozio una statua di pietra di Buddha. La comprammo e la lasciai lì assicurandomi che non la rubassero".

Una statua di pietra di Buddha su un cumulo di rifiuti.

Passa qualche mese senza che accada nulla di partiolare. Poi un giorno Dan vede che la statua è stata verniciata. Il giorno dopo scopre che sono stati aggiunti altri colori. E così via. Giorno dopo giorno la spazzatura sparisce, attorno al Buddha iniziano ad apparire fiori, cibo, addirittura una casa, videosorveglianza e di lì a poco cominceranno a riunirsi diverse persone (molte di origine vietnamita) per pregare e mantenere il posto pulito.

Non solo, la comunità vietnamita inizia a lasciare anche cibo davanti casa di Dan come ringraziamento. "Ho cercato di fargli capire - spiega divertito - che non c'è bisogno di farlo e che non sono buddhista. Non ho fatto niente di speciale. Volevo solo eliminare la spazzatura. Il resto lo hanno fatto loro".

Tutto questo accade nel 2009 e ad oggi il quartiere è notevolmente più tranquillo. Secondo la locale stazione di polizia i crimini sarebbero diminuiti dell'82%.

Quando ho finito di ascoltare questa storia mi è venuta in mente la teoria delle finestre rotte studiata ai tempi dell'università. Secondo questa teoria, in sintesi, se viene spaccata la finestra di un edificio è probabile che ne verrà spaccata un’altra mentre se la finestra è riparata, il processo di solito si ferma. Un teoria del buon esempio insomma.

Ora, onestamente non so quale percentuale di successo possa avere questa teoria se applicata ad ogni singolo aspetto della vita quotidiana. So, per averlo visto, che vi sono posti dove un senso civico più attivo può e fa la differenza almeno per il decoro urbano. Sul comportamento umano ho ancora i miei dubbi.

Nel frattempo, però, quando vedrò una finestra rotta cercherò di ripararla. O almeno di non romperne un'altra.

Sulla storia del Buddha di Oakland e di Dan Stevenson è stato realizzato anche un piccolo documentario.



Carlos Alberto Valderrama Palacio, conosciuto come Carlos "el Pibe" Valderrama è un giocatore che chi ama il calcio ed ha vissuto gli anni Novanta attaccato alla tv a guardare i Mondiali non può non ricordare.

Il numero 10 colombiano deve la sua fama a due cose: la sua classe e i suoi capelli. In Sudamerica è stato ed è ancora oggi uno dei giocatori più amati e apprezzati.

1. Una famiglia di calciatori. 
Valderrama non poteva non diventare un calciatore professionista considerato che quasi tutti nella sua famiglia lo sono stati. Solo per citarne alcuni: il padre Carlos “Jaricho” Valderrama, i fratelli Alan e Ronald e i cugini Didí Alex Valderrama e Miguel González Palacio. Ma ce ne sono molti altri...

2. Pescaíto, un quartiere di campioni. 
El "Pibe" è nato e cresciuto nel quartiere Pescaíto nella città di Santa Marta. Il quartiere è particolarmente conosciuto in Colombia per aver dato i natali a diversi calciatori professionisti. "Giocare in strada - ha raccontato Valderrama nel programma Pura Química in onda sulla Espn argentina - era calcio allo stato puro. Dribbling, tunnel, tecnica. L'esordio con il calcio professionistico fu un po' traumatico. Ci facevano correre chilometri su chilometri senza vedere mai il pallone. Un giorno chiesi al mister 'siamo una squadra di calcio, giusto? E allora non dovremmo usare il pallone?'"

3. La capigliatura.

Oltre ad essere conosciuto per i suoi assist e la sua classe, Valderrama non è mai passato in osservato per la sua acconciatura che gli valse anche il soprannome di "Gullit biondo". El Pibe ha sempre raccontato di aver scelto quello stile quando aveva circa 15 anni, visto che nel suo quartiere era di moda. "Mia madre - ha raccontato - li ha sempre odiati. Mi ha sempre detto 'sei così bello figlio mio, togliti quella cosa dalla testa'".

4. I Mondiali. 

Valderrama ha disputato con la nazionale colombiana - rigorosamente con numero 10 e fascia da capitano - tre mondiali: Italia '90, USA '94, Francia '98. Ha segnato un solo gol iridato proprio all'esordio di Italia '90 a Bologna contro gli Emirati Arabi, partita vinta poi 2-0. Sempre a Italia '90 raggiunse il massimo risultato raggiungendo gli ottavi di finale.

5. Il 5-0 contro l'Argentina. 
Una delle vittorie storiche per il calcio colombiano e nella carriera di Valderrama fu il 5-0 rifilato in trasferta in Argentina nel 1993 nelle qualificazioni per i Mondiali di USA '94.

6. L'ipotesi di ritiro dopo USA '94.
La disfatta di USA '94 con l'eliminazione della nazionale Colombiana al primo turno fu un momento durissimo per Valderrama. Oltre che per il fatto di essere arrivati negli Stati Uniti con l'etichetta di squadra da tenere d'occhio ed essere usciti subito è soprattutto per la delusione del popolo colombiano e per l'uccisione del compagno e amico  Andrés Escobar "reo" di aver siglato un autogol contro la Svizzera. El "Pibe" decise però di continuare a giocare. Con la Nazionale ha giocato in tutto 111 partite e segnato 11 gol ed ha ottenuto tre volte il terzo posto alla Copa America.

7. La statua.



Nella sua città natale, Santa Marta, hanno posto una scultura che lo rappresenta.

8. Le squadre e il palmares.
Valderrama ha giocato con: Unión Magdalena, Millonarios, Deportivo Cali, Montpellier, Real Valladolid, Ind. Medellin, Junior, Tampa Bay Mutiny, Miami Fusion e Colorado Rapids. In carriera ha vinto la Coppa di Francia con il Montpellier (89/90) e due campionati colombiani con l'Atlético Junior ('93 e '95).

9. FIFA 100.




Nel 2004 è stato inserito da Pelé nella classifica dei 100 migliori giocatori viventi al mondo.

10. L'addio al calcio.




Il primo febbraio del 2004 ha annunciato ufficialmente l'addio al calcio con una partita alla quale parteciparono giocatori del calibro di Jorge Campos, José Luis Chilavert e Faustino Asprilla. Assistettero al match 60mila persone.
foto Bexx Brown-Spinelli su Flickr
Luca Sofri ha scritto un post interessante su alcune tendenze del giornalismo nostrano: l'ego e la ossessione nel creare un storia. E' senza dubbio un pezzo che vale la pena leggere nella sua interezza ma questa parte mi ha colpito particolarmente.
 Una è una necessità sempre più pressante e trasparente di chi scrive di manifestare se stesso attraverso la scrittura: è una cosa che ha a che fare con una più estesa questione di insicurezze individuali e modelli competitivi nelle nostre società che influenza anche chi scrive articoli, la ricerca di affermazione di sé generata dal timore dell’insignificanza e dal bisogno di essere riconosciuti, notati, semplicemente visti. Nella scrittura giornalistica si traduce nella ricerca di artifici e virtuosismi che ricordino al lettore che non sta semplicemente leggendo di fatti, notizie e informazioni: ma che sta leggendo di qualcuno (io, me, l’autore!) che gli offre quei fatti, notizie e informazioni.
Il discorso dello scrivere giornalisticamente o di fare lo scrittore su un giornale è piuttosto vecchio. Esiste da sempre, credo, ossia da quando esiste gente che scrive su un giornale. In Italia poi, dove non esistono editori puri bensì editori che di lavoro fanno altro e usano i giornali per scopi personali, questo ha raggiunto una deriva ancor più incontrollata. Perché non scrivi per il lettore ma per qualcun altro se non addirittura per te stesso.

Il punto centrale però è quello dell'aderenza ai fatti. Descrivere un fatto necessita di regole da seguire per poter fornire tutte le informazioni necessarie al lettore per capire di cosa tu stia parlando. Questo si tramuta forzatamente in uno stile asciutto anche se saper fare il giornalista, a mio avviso, significa essere in grado di usare le giuste parole nel giusto ordine per cucire i vari pezzi della storia di cui ti sei occupato.

Sono convinto che se dieci persone assistessero allo stesso evento lo descriverebbero in maniera diversa.

Ora il problema del lavoro del giornalista è che, volente o nolente, a livelli alti come a quelli più bassi tende ad intaccare l'ego. Dire "faccio il giornalista" o vedere il nome sul giornale è comprensibilmente motivo d'orgoglio ma potenzialmente può dare alla testa. A tutti.

Quando lavoravo in Italia in vari giornali ho visto questa cosa accadere frequentemente in forme più o meno gravi e durature. Ho sempre raccontato come a me bastasse vedere poi lo schifo di busta paga che avevo per tornare rapidamente con i piedi per terra e credo/spero di esserci riuscito in ogni occasione. Ma il problema di fondo rimane.

Questo perché quando uno fa il giornalista entra in un circuito di email, inviti, telefonate, accrediti, conferenze stampa nelle "stanze dei bottoni", incontri con persone piacevoli e altri con personaggi incredibilmente viscidi. Questo può portarti a pensare, erroneamente, di essere ricercato perché sei tu (quando invece è il lavoro che svolgi) o di far parte di qualcosa di importante che solo tu puoi capire. Il che per certi versi è vero ma sbagliato. Perché il limite da non superare mai è quello tra l'essere spettatore/interlocutore privilegiato della realtà e il diventare parte integrante di quella realtà.

Superando quel limite si entra a far parte di quel circo barnum di ego che tu dovresti descrivere senza fronzoli solo da fuori. E diventa tutto un "Io sono Pinco Pallino del Giornale Tal dei Tali" e "Io sono l'assessore Tizio di Vattelapesca". Si finisce, inoltre, per sopravvalutare le tue qualità di scrittore. Perché tu non sei uno scrittore. Sei un cronista. Uno che racconta fatti, non romanzi. E scrivere bene non significa usare parole ad minchiam tirate fuori dal dizionario dei sinonimi e contrari. Vuol dire scrivere in modo che una persona che non conosce il fatto lo capisca bene. Il lettore non deve leggere te, deve leggere grazie a te quello che è successo.

PS: Non credo ci sia bisogno di sottolineare che ovviamente questo post non riguarda il 100% dei giornalisti.
foto Lukeroberts

Non ricordo bene dove, però una volta ho letto che quando apri un blog è come adottare un cane o addirittura avere un figlio. Non lo puoi abbandonare o chiudere da qualche parte. Ricordo pure di aver pensato che fosse esagerato e, a dirla tutta, lo penso ancora.

Però quando qualche tempo fa sono passato dalle parti de Il Rompiblog e ho letto la data dell'ultimo post - 7 marzo 2013 - ho avuto un mezzo infarto. Non mi ero reso conto fosse trascorso così tanto tempo.

Ora, non è che in questi due anni e mezzo sia stato senza fare nulla. Ho cambiato nazione, lavoro, vita. Ho aperto un sito (in caso foste interessati si chiama Notizie Multitasking) e cose così.

Il punto è proprio questo. Di questi ultimi anni qui non c'è traccia. Questo blog è cresciuto con me. Qui nel 2008 ho iniziato a scrivere, testare tutto quello che volevo imparare e/o non riuscivo a mettere in pratica nel lavoro quotidiano di giornalista.

Qui ho imparato a "embeddare” le prime cose e a smanettare con l'HTML. Qui ho scritto di attualità, politica, sport, libri, media, giornalismo, sindacato, ho fatto dirette twitter, ho pubblicato foto, racconti, ho fatto pubblicità ai libri che ho scritto e cercato di "monetizzare" quando all'epoca sembrava l'unica cosa da fare con un blog. Ho anche "tematizzato" il blog cercando di parlare solo di un argomento specifico. Ho fatto di tutto. Poi sono arrivati i social network, il "il blog è morto, viva il blog" e così via.

In tutto questo tempo mi sono convinto che Il Rompiblog non sia altro che questo. Il mio blog. Dove trovi di tutto un po' e molto probabilmente in modo confuso. "Tante cose e fatte male" come si direbbe. Però a me piace così. Ed è da qui che voglio ripartire. Motivo per il quale ho anche cambiato radicalmente la grafica del blog. Bianco, semplice.

Si riparte da zero.

Daje.