Sul Manifesto di oggi c'è un lungo e articolato pezzo firmato da Luciana Castellina il cui titolo esprime in modo eloquente la sua posizione sulla situazione di difficoltà del giornale e sul suo futuro. Il titolo è: "La sfida della rete, per un nuovo inizio".

Come ho scritto anche in precedenza credo che Luciana Castellina abbia perfettamente ragione. In particolare c'è un passo che secondo me merita.
"Non è dunque solo perché non abbiamo i soldi per stampare su carta il giornale che avremmo dovuto da tempo anticipare un modo di comunicare (e di stare assieme) fatalmente destinato a diventare la norma: passare online. (...) Io credo che questa scelta sia 'storicamente' inevitabile e credo che anticiparla, anziché arrivare buoni ultimi, sarebbe assai meglio. Il manifesto, fin dalla nascita, è stato pioniere, perché non dovrebbe esserlo anche ora?"
Trovate l'articolo per intero qui.

Su Ebookizzati potete trovare "Cronaca di un legame di sangue", il mio primo romanzo giallo, in formato ebook a 6 Euro. Se v'interessa.... 
Una vita lunga e appassionante racchiusa in oltre 500 pagine. Il tutto da leggere senza sentirne affatto il peso. Questo ed altro in "Andrà tutto bene" l'ultimo libro (formato ebook) della giornalista e scrittrice Mirella Delfini edito da Abel Books. Tre strade distinte, quelle che si trova di fronte il lettore: la vita privata, quella lavorativa e la Storia. Sentieri che l'autrice interseca con maestria. Il risultato è un'autobiografia che nasce e finisce come l'ennesimo articolo di alto spessore di un'inviata navigata come Mirella Delfini. 

Per chi, come il sottoscritto, si barcamena nel mondo giornalistico risulterà particolarmente appassionante ed istruttivo il racconto della Delfini dei retroscena che l'hanno portata ad intervistare personaggi del calibro di Papa Giovanni XXIII, De Gaulle, Fanfani, Mattei, Nenni, Moro, Pasolini, Buzzati, Fellini, Montanelli, Moravia, De Sica. Ammirazione e, perché no, anche un po' di sana invidia.

Insomma se non vi ho convinto io, lasciatevi convincere dall'introduzione di Sergio Zavoli.
“Ci sono anche fatti che solo oggi è possibile raccontare; per esempio la vera storia di come Papa Giovanni XXIII - durante la crisi per i missili a Cuba - sia riuscito con il suo carisma a riconciliare ‘le due K’, Kennedy e Krusciov, scongiurando il pericolo di una terza guerra mondiale. E’ una vicenda che pochi sanno, infatti il mondo crede ancora che il merito sia tutto di Kennedy. Storia, politica cultura, sorprese e rischi, tutto si mescola e si ricompone in un vasto arazzo sul quale ci si avventura senza un momento di respiro e di noia".

Editore: Abel Books
Costo: 4,99
Pagine: 571 
 

E l'ho saputo così, guardando sul cellulare. Ho saputo che il mio racconto "Rock The Casbah" è tra i vincitori del concorso letterario "Corpi Freddi". Sarà pubblicato dalla Chichili Agency in Germania, Austria e Svizzera in formato digitale. E poi potrebbe essere scelto (ma ancora non si sa) dalla casa di produzione Laboratoria per farne un cortometraggio.   
E quindi niente, festeggiamo. 
E grazie.
Questi i vincitori:
1 - Simone Togneri - Altrove
1 - Sam Stoner - Elvis Rosso Sangue 
2 - Riccardo Carli Ballola - Cenere alla cenere
2 - Paolo Bartolozzi - Un racconto davvero orribile
5 - Rudy Salvagnini - Pactum Sceleris 
6 - Luca Rinarelli - 
6 - Federico Pergolini - Cacciatori e prede
6 - Fabio Giofrè - La realtà sopra le cose 
6 - Damiano Celestini - Rock the Casbah 
6 - Antonino Fazio - Lavoro notturno 
6 - Afra Tresoldi - Body 

Dopo la chiusura di News of the World e dopo l'arresto di cinque giornalisti del Sun per bustarelle a poliziotti in cambio di notizie Rupert Murdoch ci riprova. Il squalo ha annunciato il debutto del The Sun on Sunday rassicurando i giornalisti via email che, nonostante gli arresti, il giornale non rischia la chiusura così come accaduto ai colleghi di News of the World. 

Non so perché ma fossi in loro starei comunque attento... Ma nel Sun (primo giornale acquistato da Murdoch nel 1969 e tabloid più venduto d'Inghilterra) c'è parecchio ottimismo. 

News International CEO Tom Mockridge told staff last night. He said: "This is our moment. I am sure every one of us will seize the opportunity to pull together and deliver a great new dawn for The Sun this Sunday."
Sun Editor Dominic Mohan said: "This is a truly historic moment in newspaper publishing and I am proud to be part of it. The Sun's future can now be reshaped as a unique seven-day proposition in both print and digital. Our readers' reaction to the announcement of a seventh-day Sun has been huge and we won't let them down."
Da The Sun online
"A Roma ci sono 2000 giornalisti precari. Per arrivare a mille euro mensili dovrebbero lavorare 40 giorni al mese. Gli articoli sono pagati in media 30 euro ciascuno, senza contributi, senza ferie pagate, senza giorno di riposo, senza diritti, senza maternità, senza assistenza". Sono solo alcuni dei numeri offerti dal coordinamento "Errori di Stampa" e contenuti sul dossier che loro stessi hanno realizzato e presentato nei giorni scorsi in una conferenza stampa tenutasi presso la sede della Provincia di Roma. 
La fotografia che ne emerge è in linea con il quadro che più o meno molti di noi, che in questo mondo ci sguazzano, conoscono fin troppo bene. Però è sempre bene divulgare affinché tutti sappiano. 

Matteo Valerio, uno degli autori della ricerca, spiega: “Non siamo una casta e la maggior parte dei giornalisti fa fatica a guadagnare cinque mila euro all'anno. Queste cifre costituiscono il maggior pericolo per la qualità e l'indipendenza degli organi di informazione”.

Qui sotto potete leggere il dossier



Sul blog di Erroridistampa, invece, c'è tutta la cronaca dell'evento. 
 

Riporta l'Agi. "Per cortesia togliamo il finanziamento all´editoria che non sta in piedi da sola. In un momento di difficoltà del Paese non si tengono in piedi i morti, poi c´è puzza di cadavere". Così il presidente del gruppo editoriale L´Espresso, Carlo de Benedetti a margine della letio magistralis "Essere imprenditori oggi" nella facoltà di Economia a Palermo rispondendo a chi gli chiedeva sulla opportunità di mantere i contributi statali all´editoria. Secondo De Benedetti, "si dovrebbero togliere tutti i finanziamenti pubblici ai giornali che poi finiscono in violazioni e abusi. Ritengo - ha concluso - che bisogna lasciare campo libero all´editoria sana, i partiti se la paghino loro, hanno già il rimborso elettorale. Non si capisce perché dobbiamo pagare ancora per i giornali di partito". 

Perfettamente d'accordo. Poi magari De Benedetti ci spiega pure se sia giusto sovvenzionare a prescindere i giornali (anche quelli vivi) soprattutto se sottopagano chi li scrive. E magari ci illumina pure sulla maximulta che l'Inpgi gli ha rifilato dopo aver trovato pensionati in redazione a Repubblica. 
Uno mezzo calvo si esibisce in uno sproloquio infarcito di populismo su una rete pubblica augurando la chiusura e insultando giornali e giornalisti che lo avevano criticato. Aspetta, ma dove l'ho già vista sta cosa.....?
Per la cronaca ampi spezzoni dell'intervento si possono trovare qui.
Qui, invece, la replica di Aldo Grasso. 
Non è una giornalista. O forse sì? Claudia Vago, in arte Tigella, si è fatta conoscere su Twitter per la sua bravura nel tenere aggiornati i suoi follower su argomenti di attualità. Bene, ha avuto l'idea (sfruttando il sito www.produzionidalbasso.it) di farsi finanziare con una quota dal suo "pubblico" per andare un mese a maggio a seguire il G8 che si terrà a Chicago dove racconterà gli sviluppi del movimento Occupy. 

Ha fatto un preventivo di spese e la somma che le serve è di 2600 euro. Nel giro di pochissimi giorni ha raccolto quasi tutta l'intera cifra. 

"Evidentemente, una volta sul posto la mia copertura dell'evento non sarà il classico filtro dei messaggi che circolano in Rete come ad ogni occasione ma sarà un live blogging dei momenti più significativi e, soprattutto, produzione di post, video, video interviste, gallerie fotografiche, Storify... che servano a documentare e raccontare cos'è Occupy, cos'è Occupy Chicago, chi sono le persone coinvolte nel movimento, quali idee circolano, in che modo si svolge la vita all'interno dell'accampamento, come si svolgono le assemblee, quali dinamiche si creano all'interno delle assemblee e tutto quello che, stando sul posto, potrò osservare con i miei occhi"

Riccardo Luna ha scritto un lungo e interessante articolo sull'argomento. C'è una frase che mi ha particolarmente colpito: "Si tratta di capire come Twitter, cioé chi usa Twitter senza essere un giornalista, modifichi il giornalismo tradizionale. Lo faccia sembrare vecchissimo".

Non c'è dubbio che i social network, e in particolare Twitter, abbiano contribuito a cambiare e continuino a farlo il modo di fare informazione. Sono certo che l'intento di Claudia Vago sia lodevole e che, almeno per il nostro paese, rappresenti un'autentica novità. È tutto da vedere, però, quanto questo fenomeno dell'inviato finanziato dai lettori possa diventare, perché no, una consuetudine.  

Scrivo questo post consapevole che, una volta finito di leggerlo, qualche collega storcerà la bocca. Probabile che mi beccherò pure qualche “vaffa” ma me ne farò una ragione. Ho già scritto in passato sui finanziamenti pubblici ai giornali e ho sempre detto di essere contro. Dico questo consapevole del fatto che il giornale per il quale collaboro, Il Messaggero, i fondi li prende.

Solo che in questi giorni sono emerse diverse situazioni complicate legate al Manifesto, al Foglio dovuti al taglio del Governo. Capisco che l'argomento per la nostra categoria sia pruriginoso perché si tratta di posti di lavoro che rischiano di saltare e di persone (giornalisti, poligrafici, ecc...) che hanno famiglie da mantenere e non crediate che tutti i giornalisti prendano cifre astronomiche. Non è così. Di questo dispiace, così come dispiace vedere una testata che chiude i battenti. È sempre una sconfitta.

Però se ci soffermassimo solo sul giornale come prodotto capiremmo che la frase “il taglio dei fondi mette a rischio il pluralismo” nel 2012 suona parecchio stantia e inattuale.

Se un giornale è in crisi e non vende un motivo ci sarà. Fermo restando l'enorme rispetto per la storia de Il Manifesto, ad esempio, a me è sembrato paradossale il fatto che si lanciasse l'appello ai lettori per comprare il giornale. Ma se non comprano il giornale che lettori sono?
Un altro aspetto. Nel discorso fatto da Giuliano Ferrara sulla crisi de Il Foglio (poi risolta da un investitore per il momento) il direttore ha detto “altrimenti saremo costretti a mantenere solo la versione online”.

Costretti? È questa, ancora oggi, la concezione che i giornalisti hanno dell'informazione online? Un'informazione di serie B? Che rappresenta una sconfitta rispetto alla carta? Il che è molto strano dato che Il Foglio, tanto per fare un esempio, scommetto quello che volete che abbia più lettori veri nella versione web che in quella cartacea dove si fa il giochetto (che tanti fanno: uno scandalo) di stampare più copie per “gonfiare la tiratura” e accedere a maggiori fondi pubblici.

Va detto anche che il nostro paese rispetto alla pubblicità (fonte importante per i giornali) vive una doppia anomalia:
1) A parte i grandi gruppi per il resto c'è ancora una certa ritrosia negli inserzionisti nell'investire nell'online. Fenomeno che migliora, ma ancora c'è.
2) Negli altri paesi esiste un tetto massimo per la pubblicità che viene fatto rispettare, mentre in Italia la tv (correggetemi se sbaglio) si “pappa” ben oltre il 50% degli introiti.

Detto questo. È vero che l'informazione è una merce particolare ma è altrettanto vero che non reputo giusto reclamare soldi pubblici per mantenere in vita un giornale che vende pochissimo. Il pluralismo, grazie alla rete e ai social network (ci sono profili su twitter che hanno più follower di certi giornali), può sopravvivere online ma c'è bisogno di una concorrenza leale nella distribuzione della pubblicità e di maggiore coraggio: da parte degli investitori e, soprattutto, da parte nostra. 


E' di Samuel Aranda la foto vincitrice del World PressPhoto 2011. Uno scatto (pubblicato dal New York Times) realizzato il 15 ottobre 2011 nell'ospedale da campo allestito in una moschea di Sanaa, capitale yemenita. "Credo che sia molto importante in queste occasioni - dice Aranda - ricordare che il nostro lavoro è fatto per le persone di cui raccontiamo le storie. Vorrei che la mia foto potesse essere d'aiuto alla popolazione dello Yemen, una terra troppo spesso dimenticata".

Io, comunque, mi prenderei qualche minuto per godermi le gallery con le altre foto in concorso. Bellissime. 


Aranda ha anche aggiunto, però, un particolare interessante che riporto qui sotto. 



El fotógrafo catalán también ha declarado que espera que "esos editores gráficos que antes no te cogían el teléfono, ahora cojan las llamadas". Ningún medio español ha ofrecido un contrato estable para que cubra las revoluciones árabes, a pesar de haber sido portada en múltiples ocasiones en el periódico The New York Times. "Soy freelance", afirma. "Desde que empezó la primavera árabe, el 90% de mis ingresos han provenido del New York Times.  



Prima


Dopo

E' possibile che la vecchiaia cominci a farmi perdere colpi, ma quando ho letto questa notizia a me è sembrata una cosa bella. 

Un blog che diventa libro e che racconta, a futura memoria, tutta la storia della sua nascita e della sua famiglia: è questo il regalo che Paolo Pedrazzini ha voluto fare alla sua prima figlia Cecilia, che oggi ha quasi sei anni, nata nel 2006, quando lui ha compiuto 50 anni. 
Non è un papà ragazzino, Paolo, pubblicitario milanese trapiantato a Varese da qualche anno: la sua è un’età «In cui si può cominciare a buon diritto a trastullarsi con le somme di un primo vero bilancio o, volendo, a spaventarsi sul serio col fantasma della cessazione attività» spiega Pedrazzini nell'incipit nel blog/libro. "Per questo ho deciso di provarci. Con molta calma, ma anche con la presunzione necessaria all’ipotesi di un risultato finale che si possa chiamare senza vergogna libro".


Il blog è questo: www.cinquantapiudite.it



I problemi dell'editoria sono noti a tutti. Soprattutto per i giornali politici. È di oggi la notizia che il Manifesto sia in liquidazione. La notizia la dà Globalist.it. "Da tempo - si legge sul sito - i conti del giornale erano pesantemente in perdita e ora si è arrivati al passo finale. Quali scenari? Nei prossimi giorni arriverà il liquidatore nominato che valuterà i bilanci e deciderà cosa fare". 

I giornalisti di Liberazione, invece, ieri hanno esposto la loro proposta all'editore. "Tornare subito al pdf di 8 pagine; applicare a tutti il contratto di solidarietà al 60% e visto che così l’editore dovrebbe pagare il doppio di quanto dice di poter spendere, fare collettivamente una donazione mensile al Partito di Rifondazione comunista pari alla metà del costo lordo del lavoro. L’editore verrebbe così a spendere per 35 persone quanto ha deciso di spendere per 6, mentre la cassa comune di solidarietà dell’assemblea occupante ridistribuirebbe il denaro, portando tutte le retribuzioni a 1400 euro netti, uguali per tutti".
"Mehdi Khazali, figlio dell’ayatollah Abolghasem Khazali e responsabile del blog dissidente Baran, è stato frustato per ordine delle autorità iraniane e condannato dalla Corte di Teheran ad una pena detentiva di 14 anni. Lo ha reso noto l’organizzazione Reporter Senza Frontiere. A Khazali, arrestato per la quinta volta, è stato impedito di lasciare per i prossimi dieci anni la città di Borazjan, nel sud dell’Iran. Medico e veterano della guerra contro l’Iraq del 1980-88, Khazali nel suo blog lanciava pesanti critiche al regime di Teheran, denunciandone l’operato politico e le reiterate violazioni dei diritti umani, senza risparmiare annotazioni molto sarcastiche sul presidente Ahmadinejad. Il suo primo arresto avvenne nel 2009, nell’ambito della repressione del governo seguita alle proteste per la controversa rielezione di Ahmadinejad ma venne rilasciato dopo pochi giorni su cauzione". 

Lo riporta Asca/Afp


“Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” è un libro che ti fa incazzare. Almeno è quello che è successo a me leggendolo. L'ho divorato nell'arco di due sere e la prima cosa che posso dire sul libro di Antonio Menna è che raramente mi è capitato di passare dal sorriso allo sdegno con così tanta velocità da una pagina all'altra. Nel suo romanzo (che è l'ampliamento di un post sul suo blog che lo ha reso famoso) Menna propone la trasposizione della nascita della Apple nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Ci sono Stefano Lavori e Stefano Vozzini (alter ego italiani di Jobs e Wozniak), uno aiuta il padre con il banco al mercato e l'altro studia architettura e ha una mamma ansiogena.

Lavori è intelligente, ha voglia di fare ma non ha potuto studiare all'università perché di soldi non ce ne sono. L'intraprendenza non gli manca. Ha un suo progetto. Vuole creare un computer velocissimo, che non prende virus e non si impalla mai. Coinvolge l'amico nel sogno per il design e il marchio: “Q” come Quartieri.

Da qui nasce la via crucis di due giovani con una bella idea che, loro malgrado, si ritrovano di fronte a mille difficoltà burocratiche e fiscali e a personaggi di dubbia moralità che gli fanno capire ben presto che essere onesti non basta. Stefano e Stefano non vogliono cambiare e insistono finché non si imbatteranno in qualcosa più grande di loro.

Mentirei se dicessi che la storia raccontata da Antonio Menna non mi ha lasciato una profonda amarezza addosso. Ho letto i capitoli con un peso sullo stomaco per la rabbia suscitata da una vicenda del tutto verosimile. Non si commetta, però, l'errore di pensare che tutto quello che accade ai protagonisti potrebbe succedere solo perché sono napoletani. Al di là dei rapporti forzati con i capozona della camorra, per il resto tutto ciò che è narrato da Menna rappresenta in modo fedele le difficoltà che un giovane italiano ha nell'emergere. Quella inquietudine che si ha quando tutti intorno a te, pensando di fare il tuo bene, smorzano le tue ambizioni, i tuoi sogni perché “la situazione è quella che è ed è meglio tenersi stretto quel poco che si ha”. Ecco, più leggo e scrivo questa frase, più sento la rabbia (la “fevra”) montare.

Il libro di Menna è la storia di fantasia più vera che io abbia letto in questi ultimi anni e terminandolo capisci quanto sia condivisibile la frase del premio Nobel per l'economia Amartya Sen citata da Pino Aprile nella prefazione: “Un uomo è quel che le circostanze gli permettono di essere”.

Vero, ma mi fa incazzare lo stesso.            



“Acquisire tutti gli articoli e le inchieste dei giornalisti italiani minacciati per scrivere una storia unica di tutti i giornalisti minacciati in Italia e formare un fascicolo pubblico delle notizie che si cerca di oscurare con minacce e intimidazioni”. Questa la richiesta formulata alla Commissione Parlamentare Antimafia, che lo ha ascoltato ieri, da Giovanni Tizian, il giornalista che dal 22 dicembre scorso vive sotto scorta per le sue inchieste sulle infiltrazioni della mafia a Modena e in Emilia Romagna.

Nella stessa audizione del Comitato Scuola e legalità, presieduto dal senatore Enrico Musso (Pdl) è stato ascoltato il presidente dell´Ordine nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino, che ha chiesto alla Commissione un´indagine per tracciare la mappa degli assetti proprietari delle testate giornalistiche. “Abbiamo il ragionevole dubbio - ha spiegato Iacopino - che in alcun casi dietro i prestanome si nasconda la mano della criminalità”.

Iacopino ha salutato come “una assoluta novità, un fatto “positivo, importante la decisione dell´Antimafia di affrontare la questione dei tantissimi giornalisti minacciati in Italia, un fenomeno allarmante documentato dall´Osservatorio Ossigeno per l´Informazione che fornirà nei prossimi giorni alla Commissione i dati a cui anche noi facciamo riferimento”. Leone Zingales, vice presidente dell´UNCI, che quest´anno, il 3 maggio, organizza a Palermo la Giornata della Memoria dei Giornalisti Uccisi, ha invitato l´Antimafia a partecipare alla cerimonia e a svolgere in Prefettura audizioni dei giornalisti siciliani minacciati. L´invito è stato accolto.

Le audizioni dell´Antimafia proseguiranno nei prossimi giorni con Roberto Natale, presidente della Fnsi, e Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno, l´osservatorio sella Fnsi e dell´Ordine dei giornalisti sui cronisti minacciati che per il 2011 ha segnalato 95 episodi in cui sono stati coinvolti 324 giornalisti. L´osservatorio ne ha segnalati altri cinque nel 2012 con 19 giornalisti coinvolti.

(Ansa)

Discuteremo per giorni, anche sui social network, di quello che Mario Monti ha detto ieri sera a Matrix. La frase "L'idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia!" la ritroveremo storpiata e ripetuta in tutte le salse. Il che è nella normalità. 

Quello che però andrebbe sottolineato, al di là delle polemiche buone solo per qualche parlamentare per finire in un tg della Rai, è che il Premier ha detto una banalità di dimensioni cosmiche.

Non credo di dire una stupidaggine quando dico che almeno il 90% degli italiani Under 35 (ma purtroppo anche una buona fetta degli Over) considera il posto fisso una chimera. L'idea di lavorare per 35 anni nello stesso posto è una particolarità che rende il nostro paese arretrato sotto questo punto di vista rispetto ad altre nazioni europee. 

Quello che, però, su cui Monti e tutti noi ci dovremmo soffermare è sulla deriva tutta italiana che ha preso il termine flessibilità nel lavoro. Una flessibilità nel lavoro che sarebbe giusta qualora gli stipendi consentissero di districarsi col costo della vita e di potersi mantenere. Flessibilità che sarebbe normale qualora anche le banche capissero questo sistema nel momento in cui vai a chiedere un mutuo per acquistare una casa. Il mondo del lavoro è flessibile qualora, perso il posto, una persona si trovi di fronte ad altre scelte lavorative. Sia chiaro: non sto parlando del mondo dei sogni dove se ti licenziano puoi scegliere tra altri dieci lavori uno più bello dell'altro, ma tra quello e il deserto che ti ritrovi davanti nel momento in cui perdi (o vuoi cambiare) il lavoro ce ne corre.  

Flessibilità in Italia è diventata subito sinonimo di precariato, lavoro mal pagato e, spesso purtroppo, lavoro gratis. Siamo stati bravissimi nell'essere italiani in questo, cioè nel prendere un sistema di regole e piegarle a nostro piacimento per un tornaconto egoista. 
Lo stage è diventato l'occasione per un'azienda di avere ogni sei mesi un ricambio senza fine di giovanotti e giovanotte non pagati (se non pochi spiccioli laddove succede) da far lavorare senza alcun tipo di possibilità di assunzione. 
I contratti a termine, soprattutto senza tutele con una previsione di pensione pari a zero, sono diventati un'arma di ricatto senza eguali perché le aziende sanno che tu, povero disgraziato, se perdi quel lavoro prima di trovarne altri dovrai passarne di tutti i colori. E non è detto che tu ci riesca. E non è detto che tu possa trovarne di altri. 

Quindi se vogliamo polemizzare sul nulla, sull'idea di un posto fisso che tantissimi giovani già da tempo non hanno più, facciamolo. Ma non porterà a nulla. Se si vuole davvero migliorare la condizione del mondo del lavoro italiano, impedendo che migliaia di under 40 lascino questo paese ogni anno per andare altrove tanto per fare un esempio, si comincino ad abbattere le fondamenta malate che hanno trasformato il termine flessibilità in precariato senza prospettiva.   

“Negli ultimi tempi, ho pensato di nuovo ai tre cerchi della musica. Nel primo cerchio posso aprirmi un varco nell'attimo in cui leggo uno spartito, fischiettandolo appena o provando qualcosa al pianoforte. Ne ho la percezione e già sono dentro il primo cerchio. Il secondo cerchio lo varco quando ascolto con attenzione la musica, o quando la suono più o meno correttamente. Ora è la volta del terzo cerchio. Cos'è in realtà la musica? E' un discorso. Ma il compositore non parla con parole, ma con simboli; come un muto che parla a gesti e spera che lo capiscano. Non è sicuro. Vuole che lo capiscano, ma sa che i segnali giungono solo a chi sa decifrarli”.

“Il minotauro” di Benjamin Tammuz ha il merito di avermi fatto conoscere un nuovo modo di presentare, costruire e raccontare una spy-story. L'intrigo, il giallo è quasi un sottofondo di una storia d'amore surreale fatta solo ed esclusivamente di lettere inviate da un agente segreto ad una giovane ragazza. Storie diverse, mondi così lontani tra loro che grazie a Tammuz si mescolano in un intrigo amoroso costellato anche di omicidi. Come detto il mistero sembra quasi messo in secondo piano ma c'è, è tangibile, in ogni riga fino all'epilogo conclusivo che non delude il lettore.
Conoscevo Tammuz di fama ma questo è stato il primo libro che ho letto.
Non credo sarà l'ultimo.  



Vincenzo Cosenza presenta uno studio molto interessante realizzato da Semiocast in cui si mostra il rapporto tra varie nazioni e Twitter. 

Per quel che riguarda l'Italia. "L’azienda - scrive Cosenza - mi ha detto che gli italiani iscritti risultano essere 4,1 milioni (22° posto), mentre a gennaio 2011 erano 1,7 milioni. Tra settembre e novembre il 48% (1,97 milioni) si sarebbe connesso, ma solo il 25% (1,03 milioni) avrebbe postato almeno un tweet".



Su Fanpage bella infografica sul mercato italiano di Google+.  La consiglio caldamente.


"La piattaforma social di Google in Italia gode di oltre un milione e mezzo di account. Poca roba naturalmente rispetto a Facebook, ma va considerato che i numeri sono in crescita e il mercato italiano in forte espansione. Le relazioni personali sono lo scopo principale per gli utenti italiani, la maggior parte dei quali sulla piattaforma sembrano essere Single, circa la metà, mentre un quarto è rappresentato da persone sposate (il resto si perde nella galassia infinita di tipologie di relazioni, aperte, domestiche ecc)".

Io, nel mio piccolo, ne avevo parlato qui.