IL ROMPIBLOG INTERVISTA MARCO TRAVAGLIO

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Indipendentemente dalla simpatia che può suscitare o no, non si può certo dire che Marco Travaglio abbia peli sulla lingua. Ce ne siamo accorti mercoledì scorso durante un incontro con il noto giornalista realizzato dal laboratorio “Effetto notizia” della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza”. L’intervista è stata realizzata da me, e da altri due miei colleghi: Mattia Gangi e Sara Mazzotta.

Intanto forniamo qualche indicazione sulla vita di Marco Travaglio. Travaglio è nato il 13 ottobre 1964 a Torino, dove tuttora vive. Dopo la maturità classica, ha conseguito la laurea in Storia Contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. E’ giornalista professionista dal 1992. Ha iniziato la sua carriera di giornalista al settimanale torinese Il Nostro Tempo. Ha lavorato a Il Giornale diretto da Indro Montanelli dal 1987 al 1994, quando è passato alla Voce, diretta sempre da Montanelli. Nel 1995, alla chiusura della Voce, ha collaborato come free-lance con diversi quotidiani e settimanali, fra i quali Il Giorno, L’Indipendente, Cuore, Il Messaggero, Il Borghese, Sette-Corriere della Sera; nonché con Il Fatto di Enzo Biagi su Rai1. Nel 1998 è stato assunto a La Repubblica, dove tuttora lavora come collaboratore (sul sito repubblica.it cura la rubrica Carta Canta). Collabora anche con L’Espresso (rubrica Signornò), con Micromega, con L’Unità (dove tiene la rubrica Uliwood Party dal martedì al sabato), con Linus, con A e con Giudizio Universale, con “Annozero” di Michele Santoro. I suoi settori di specializzazione sono la cronaca giudiziaria e l’attualità politica. Inoltre, insieme a Peter Gomez e Pino Corrias, cura il blog voglioscendere.ilcannocchiale.it.


Hai mai incontrato problemi nello svolgimento del tuo lavoro?

«Tutti i giorni. E’ un lavoro difficile in cui bisogna cercare, appurare ed è logico che ci siano delle difficoltà nel portarlo a termine. Io non ho mai accettato censure, scrivo quello che devo scrivere come fa, o dovrebbe fare, ogni giornalista che si rispetti. Quando ancora non mi conoscevano sono riuscito a farmi cacciare… Ora mi conoscono e chi mi assume sa che sono così: prendere o lasciare».


Hai mai avuto dubbi sull’efficacia del tuo lavoro? C’è mai stato un momento in cui hai pensato che sarebbe stato meglio smettere perché le cose non cambiavano?

«No nella maniera più assoluta. Il nostro è un lavoro che, se fatto bene, può essere molto utile. Inoltre ogni volta che ho raccontato delle cose, in genere si sono visti dei risultati. Quando abbiamo pubblicato, con Elio Veltri, “L’odore dei soldi” il libro ha venduto circa 70.000 copie. Poi sono andato da Luttazzi a Satyricon ed è successo il finimondo. Dieci processi. Tutti vinti perché quello che c’era scritto era semplicemente vero. Anche con “Onorevoli Wanted” è accaduto qualcosa di simile. Tutti criticavano, poi Grillo lo ha ripreso con la sua battaglia. Tutti criticavano anche lui, ma intanto ora si parla di lista pulite. Quindi… E poi il ruolo del giornalista non è quello di cambiare lo cose. Il giornalista deve raccontarle e basta. Il suo dovere è raccontare fatti: ovviamente veri ed appurati. Con “L’odore dei soldi” non mi aspettavo mica di ribaltare l’Italia. Lo abbiamo scritto per metterlo a disposizione di chiunque. Poi ognuno è libero di credere quello vuole: che Berlusconi sia un santo oppure no».

Chi ha letto “La scomparsa dei fatti” può rimediare alle anomalie che denunci? Insomma come fa un cittadino normale ad informarsi in modo corretto?

«Nel resto del mondo civilizzato gli basterebbe guardare un tg o leggere un giornale. In Italia, invece, per sapere le cose si deve mettere mano al portafogli comprando libri, settimanali ecc… Io, per lavoro, leggo almeno sei giornali al giorno e conosco i giornalisti che scrivono quindi so già chi è affidabile e chi no. Mi rendo conto che la mia è una
posizione privilegiata, per un cittadino che non fa il giornalista è diverso. Anche internet non è affidabile trovi una miriade di cose alcune buone e altre sono vero pattume. Il problema è che una volta si diceva “l’ha detto la tv, l’ha detto la radio”, oggi si dice “l’ha detto internet” e secondo me è pericoloso».

Perché non lavori in un Tg?

«Perché non me lo hanno mai chiesto e non credo che ne sarei capace».


Cosa pensi dei Tg italiani?
«Sono uffici stampa e, dunque, di parte e noiosi. Mentre nella carta stampata, anche in quella peggiore come Il Giornale o Il Foglio, si trovano ancora dei giornalisti bravi che fanno bene il proprio mestiere, in tv essere bravi è un handicap. Tu sei messo lì perché sei amico di qualcuno o perché devi essere accettato dal politico di turno. Ci sono tg, vedi la Rai, che hanno direttori scelti dai partiti. Conosco persone che hanno anche 30 anni di carriera giornalistica alle spalle e oggi non fanno altro che tenere il microfono per far parlare, e in certi casi dire stronzate, ai politici senza minimamente fargli notare che stanno dicendo una stronzata».


Come lo faresti un tg?
«Come lo fanno in tutti i paesi democratici normali, a differenza dell’Italia. Parlerei dei fatti, se c’è da denunciare qualcosa va detto. Qui invece nei tg vedi servizi fatti di commenti e controcommenti. Sono i politici che danno le notizie, fanno le polemiche e non i giornalisti che pongono i problemi ai politici. Le cose importanti non vengono dette e poi per non farti addormentare ti sparano magari qualche cazzata come quella che ho visto l’altra sera con la ranocchia che sa surfare… Se voi pensate che l’unico telegiornale decente in Italia è quello di Sky e notoriamente negli altri paesi i canali di Murdoch sono considerati spazzatura, avrete un’idea sugli standard delll’informazione televisiva in Italia».


Come pensi si possa riformare l’attuale panorama televisivo?

«Basterebbe prendere a modello uno qualsiasi tra quelli presenti in tutti gli altri paesi europei o negli stati uniti. Il fatto che il Parlamento gestisca la tv pubblica è semplicemente ridicolo. Siamo l’unico paese in cui esiste una commissione di vigilanza parlamentare per controllare la tv. Ma vi rendete conto? In tutti i paesi normali è la stampa che controlla la politica, da noi è il contrario. Sarebbe come creare una commissione di galeotti per controllare l’operato della polizia. E’ assurdo».


Come si forma un giornalista oggi?

«Si forma sui libri, nelle scuole di giornalismo. Per carità non dico che la preparazione non sia adeguata ma spesso può accadere che ci siano ragazzi di 27-28 anni che sanno magari a memoria tutte le leggi, da cosa è composta la pagina di un giornale e poi non hanno mai scritto una riga. Per loro è difficile accettare di aver studiato e, una volta in redazione, di dover cominciare a studiare la “pratica”. Alla soglia dei 30 anni vorrebbero parlare di contratti e stipendi. Invece credo che una buona strada sia quella di studiare e nel frattempo lavorare. A 20 anni si accettano determinate cose. Quando arrivai a “Il Giornale” ero collaboratore, mi pagavano “a pezzo”, si cresceva secondo il Montanelli – pensiero che per i primi anni ’90 era già un po’ retrò. Vi basti pensare che scrivevamo ancora sulle macchine da scrivere mentre nelle altre redazioni c’erano già i computer… Oggi non è più così».

Recentemente Annozero, ed altri programmi, sono stati richiamati dal presidente dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, Corrado Calabrò per i processi sommari in tv. Cosa ne pensa?

«Sinceramente non riesco ancora a capirla quella cosa. A parte il fatto che ci è arrivato preavviso di sanzione. Ma che vuol dire? I nostri legali stanno ancora cercando di capirlo… E come l’avviso di chiamata sul cellulare. Ehi guarda che l’anno prossimo ti punisco… Mah. Comunque noi siamo stati richiamati perché abbiamo parlato di cose reali come ad esempio Cuffaro, cioè di un governatore della regione condannato a 5 anni per favoreggiamento alla mafia. Secondo l’Agcom non sono stati rispettati i criteri della par condicio e del contraddittorio. Tanto per cominciare non eravamo sotto elezioni, quindi la par condicio che c’entra? Poi che contraddittorio doveva esserci? La condanna c’è, è reale. Che mettevamo uno che diceva che la condanna non esisteva? Il contraddittorio ha senso se si parla di opinioni, non di fatti. Se l’Inter vince 3-0 possiamo avere opinioni differenti sul fatto che abbia giocato bene, ma a nessuno verrebbe mai in mente di dire che l’Inter ha pareggiato… Ma in Italia è tutto totalmente diverso e non per niente i corrispondenti dei giornali esteri fanno letteralmente a pugni per venire da noi. E hanno ragione ve la immaginate che noia stare in Svizzera? Qui ce n’è di che riempire pagine su pagine…».

lunedì 25 febbraio 2008


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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti per l'intervista.

Il racconto sul mausoleo egizio-milanese di Berlusconi mi ha intristito... bastardo mi ha rubato l'idea!

Damiano Celestini ha detto...

Grazie è stato molto divertente... comunque continuate a seguire perché il rompiblog ha altri video esilaranti!!!!!!!