Giornali, fondi pubblici e informazione online di serie B (?)

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Scrivo questo post consapevole che, una volta finito di leggerlo, qualche collega storcerà la bocca. Probabile che mi beccherò pure qualche “vaffa” ma me ne farò una ragione. Ho già scritto in passato sui finanziamenti pubblici ai giornali e ho sempre detto di essere contro. Dico questo consapevole del fatto che il giornale per il quale collaboro, Il Messaggero, i fondi li prende.

Solo che in questi giorni sono emerse diverse situazioni complicate legate al Manifesto, al Foglio dovuti al taglio del Governo. Capisco che l'argomento per la nostra categoria sia pruriginoso perché si tratta di posti di lavoro che rischiano di saltare e di persone (giornalisti, poligrafici, ecc...) che hanno famiglie da mantenere e non crediate che tutti i giornalisti prendano cifre astronomiche. Non è così. Di questo dispiace, così come dispiace vedere una testata che chiude i battenti. È sempre una sconfitta.

Però se ci soffermassimo solo sul giornale come prodotto capiremmo che la frase “il taglio dei fondi mette a rischio il pluralismo” nel 2012 suona parecchio stantia e inattuale.

Se un giornale è in crisi e non vende un motivo ci sarà. Fermo restando l'enorme rispetto per la storia de Il Manifesto, ad esempio, a me è sembrato paradossale il fatto che si lanciasse l'appello ai lettori per comprare il giornale. Ma se non comprano il giornale che lettori sono?
Un altro aspetto. Nel discorso fatto da Giuliano Ferrara sulla crisi de Il Foglio (poi risolta da un investitore per il momento) il direttore ha detto “altrimenti saremo costretti a mantenere solo la versione online”.

Costretti? È questa, ancora oggi, la concezione che i giornalisti hanno dell'informazione online? Un'informazione di serie B? Che rappresenta una sconfitta rispetto alla carta? Il che è molto strano dato che Il Foglio, tanto per fare un esempio, scommetto quello che volete che abbia più lettori veri nella versione web che in quella cartacea dove si fa il giochetto (che tanti fanno: uno scandalo) di stampare più copie per “gonfiare la tiratura” e accedere a maggiori fondi pubblici.

Va detto anche che il nostro paese rispetto alla pubblicità (fonte importante per i giornali) vive una doppia anomalia:
1) A parte i grandi gruppi per il resto c'è ancora una certa ritrosia negli inserzionisti nell'investire nell'online. Fenomeno che migliora, ma ancora c'è.
2) Negli altri paesi esiste un tetto massimo per la pubblicità che viene fatto rispettare, mentre in Italia la tv (correggetemi se sbaglio) si “pappa” ben oltre il 50% degli introiti.

Detto questo. È vero che l'informazione è una merce particolare ma è altrettanto vero che non reputo giusto reclamare soldi pubblici per mantenere in vita un giornale che vende pochissimo. Il pluralismo, grazie alla rete e ai social network (ci sono profili su twitter che hanno più follower di certi giornali), può sopravvivere online ma c'è bisogno di una concorrenza leale nella distribuzione della pubblicità e di maggiore coraggio: da parte degli investitori e, soprattutto, da parte nostra. 
sabato 11 febbraio 2012


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