Che Pierpaolo non resti solo una firma

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Di lui sono riuscito solo a sapere che adorava il Jazz. Pierpaolo Faggiano era un collaboratore di 41 anni (sì, si può essere precari a 41 anni), della Gazzetta del Mezzogiorno. Ieri sera ha deciso di farla finita motivando il suo gesto parlando di una delusione amorosa ma anche delle precarie condizioni lavorative.

Già. Pierpaolo era un giornalista pubblicista. Il che, in teoria, significa che fai questo mestiere come secondo lavoro. Stronzate. La stragrande maggioranza dei pubblicisti (vi avverto: non sono dell'umore giusto per disquisizioni in merito all'Ordine dei giornalisti) lavora tutto il giorno. Il suo UNICO e PRIMARIO lavoro è quello di giornalista.

Non scrive in redazione: perché non può entrarci, anche se poi se gli servi ti fanno entrare e come.
Non ha rimborsi di benzina.
Non ha rimborsi telefonici.
Sei pagato a pezzo, con cifre che arrivano pure a 5 euro lorde. O magari hai una cifra fissa all'interno della quale ci fanno entrare di tutto.
Spesso non c'è un contratto.
Spesso ti chiamano dalla redazione pure nei festivi (ma non sono conteggiati al momento del pagamento)
Spesso i pagamenti sono a due, 4, 12 o 18 mesi...
Praticamente sempre non hanno nemmeno bisogno di licenziarti. Da domani, semplicemente, non scrivi più e buonanotte ai suonatori.
E sei solo, schifosamente solo.

È umiliante, frustrante, difficile ma molti riescono ad andare avanti proprio per l'amore per questo lavoro che non conosce limiti. Ma spesso, quello che ti dà la forza di andare avanti, è benzina per l'arroganza di chi decide di lasciarti nel perenne limbo della precarietà.

E il rischio che tu rimanga solo una sigla è un prezzo troppo grande che qualcuno, prima o poi, paga.

Update ore 20: sul giornale con cui collaborava Pierpaolo al momento c'è una riga, una sola riga, di cordoglio della Gazzetta del Mezzogiorno.




mercoledì 22 giugno 2011


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