Giovanni Tizian: il tuo coraggio non vale #4euroalpezzo

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Se non lo avessi visto in fotografia probabilmente non avrei mai detto che quel Giovanni Tizian che ieri mi sono trovato di fronte era lo stesso giornalista sotto scorta perché minacciato dalla 'ndrangheta. 

Sarà che nell'immaginario comune uno si aspetta il reporter d'assalto. Sguardo deciso, faccia dura, sigaretta sempre accesa. Invece guardi gli occhi di questo giovane imbarazzato dalle telecamere che gli puntano i colleghi addosso e non riesci a capacitarti di come qualcuno voglia fargli del male. Ti sforzi di immaginare un boss mentre riflette su come toglierlo di mezzo. Lui, quel mingherlino che parla a bassa voce, come per non disturbare. 

E invece Giovanni Tizian disturba: lo fa con le sue incheste, con le righe che macina senza sosta su una tastiera tartassata dalla sua voglia di scrivere la verità. Di raccontare a NOI la verità perché "è giusto così". Tre parole che pronuncia con una semplicità che ti lascia come uno stoccafisso. "È giusto così". È, giusto, così. 

E più lo senti parlare, più gli senti dire "che tanti giovani sono Giovanni Tizian, tanti giornalisti vivono sotto minaccia per pochi euro a pezzo e nonostante tutto vanno avanti", più ti viene voglia di scuoterlo di dirgli "ma chi te l'ha fatto fare!" "perché non pensi a vivere la vita normale che meriti, perché non mandi affanculo gli editori che ti sfruttano?".

Ma poi ti fermi a riflettere che tu, noi, tutti, abbiamo un disperato bisogno di persone come lui. Solo che non può e non DEVE essere lasciato solo perché un giornalista, quando fa bene il suo mestiere, rende un servizio alla collettività e la collettività può aiutarlo dimostrando che in questo cavolo di paese esiste ancora un rigurgito di moralità che ti porta ad indignarti quando un'inchiesta ti svela cosa stanno combinando alle tue spalle. 

Vedi la sciatteria, il disinteresse, lo sfruttamento di editori che pagano pochi euro a pezzo come se il lavoro di Giovanni non valesse nulla. Come lui, noi, non valessimo nulla. E gioisci anche di giornate come quella di ieri perché comunque senti di non essere solo, che finché se ne parla c'è una base su cui costruire qualcosa.   

Ti arrabbi con te stesso e ti accorgi di arrivare ad odiare questo mestiere perché l'amore che provi nel farlo ogni giorno, il brivido che ti dà il foglio bianco riempito dalle tue parole, l'incapacità di osservare il mondo che ti circonda senza collocarlo in colonne e battute sono talmente grandi da impedirti di restare troppo lontano da un Pc. 
E poi capisci che ha ragione Giovanni. 

È giusto così. 




venerdì 27 gennaio 2012


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