VIAGGIO IN ABRUZZO – PRIMA PARTE

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IL VIAGGIO - Si parte con il buio, ore 4.45, destinazione Prata D'Ansidonia. La colonna mobile che prende il via da Civitavecchia è composta da due camion, un furgone, un pick up e due auto. In tutto venti persone. Siedo in uno dei camion. Il viaggio scorre via tra una chiacchiera e la radio fino all'arrivo in Abruzzo, nei pressi de L'Aquila. Te ne rendi conto perché sulla strada sfrecciano quasi tutte auto con i lampeggianti accesi, camion che portano impressi i marchi delle città da cui provengono gli aiuti: cibo, vestiti, ecc... Soprattutto te ne accorgi dalle prime rovine che inizi a vedere ai lati delle vie, oppure sbirciando dentro a qualche paese in lontananza. A ogni ponte (qualcuno alto anche centinaia di metri), ogni traforo senti dentro quella piccola sensazione di paura che pensavi di aver rimosso. “Se non sono crollati con la prima scossa – ti dicono – vuol dire che sono resistenti”. Sarà, ma in caso di terremoto sono gli ultimi posti dove vorresti trovarti.

L'arrivo a l'Aquila, ore 8.30 circa, è inquietante. Nonostante la lontananza dal centro storico, quello più colpito, capisci subito la dimensione del danno da una cosa: la città è deserta. Case vuote, in un silenzio quasi irreale, in giro solo vigili del fuoco e forze dell'ordine. Ad un tratto diversi allarmi di macchine iniziano a suonare, lì per lì pensiamo ad una fortuita coincidenza. Invece no: è un scossa d'assestamento. Abbandoniamo l'Aquila per dirigerci verso Prata D'Ansidonia, un paese di poco meno di 600 anime a 30 km dal capoluogo abruzzese, lì sono presenti i volontari di Civitavecchia divisi tra Protezione Civile e Arci. Ci scorta una pattuglia di carabinieri e durante il
tragitto lo scenario è sempre simile: città fantasma, abitazioni danneggiate. Per raggiungere il paese attraversiamo una stradina di montagna in cui ci “accoglie” un masso di almeno tre quintali caduto dalla parete rocciosa alla nostra destra. Altro posto da evitare durante una scossa di terremoto. Finalmente l'arrivo a Prata D'Ansidonia intorno alle 9.15.

Questo paese è stato, fortunatamente, tra i meno colpiti. Sono tutti sfollati, è vero, ma non ci
sono stati feriti o morti anche se le perdite di cari o conoscenti non sono mancate. Le case però non sono agibili e tutti vivono nella tendopoli allestita nella piazza. Mentre si scaricano gli aiuti passeggiando nel campo è possibile scorgere la paura ma anche la forza tipicamente abruzzese. Una donna scherza – ma con gli occhi lucidi – dicendo che non ci sono detersivi per pulire i pavimenti della tenda... L'emblema di questo campo è Vincenza De Simone (in foto col fazzoletto viola in testa), 89 anni e “due palle così” come mi dice un volontario. Nonostante il terremoto nei primi giorni non ha voluto lasciare casa ed è stata portata via quasi con la forza dai volontari della Protezione Civile. “Adesso però – racconta Vincenza – sto bene in tenda, la notte fa freddo ma almeno abbiamo un posto dove dormire. Lo sa – mi dice – non ci crede nessuno che ho 89 anni, me ne danno di meno. Tutti si fanno le foto con me e mi vogliono bene. Sono ragazzi straordinari, ci stanno aiutando tanto. Spero di tornare a casa mia ma, è crollata una parete e vedremo un po' cosa succederà in futuro”. Già il futuro. Lo sconforto è totale in molti degli abitanti del campo, la paura regna sovrana perché le scosse di terremoto non ti lasciano mai. Il sollievo giunge dalle valanghe di aiuti che arrivano da tutta Italia. Si è addirittura ad un punto in cui non c'è più posto e in molti campi si mandano via i camion perché altrimenti c'è rischio che il cibo si rovini. “E' straordinario – dicono i volontari – l'importante è che nelle prossime settimane queste persone non finiscano nel dimenticatoio”. I volti dei bambini non si dimenticano, nonostante tutto cercano il gioco, il sorriso e non gli sembra vero di vedere le uova di Pasqua anche se “quest'anno – spiega amaramente la figlia di Vincenza – Pasqua non esiste”.

Lasciamo Prata D'Ansidonia per dirigerci verso altri campi e dopo circa un'ora arriviamo a Arischia alle 13. Arischia è un campo di calcio trasformato in tendopoli. E' grande, al suo interno trovano alloggio circa 1000 persone, forse anche di più. L'atmosfera è diversa dal primo villaggio. Qui ci sono tante persone che hanno perso figli, parenti, amici. L'atmosfera è grigia con le nubi che hanno occupato il cielo. Ci fermiamo per lasciare materiale per neonati e per pranzare. Ci offrono il pasto che si consuma dentro uno stand con tavoli lunghissimi. Mi siedo con il mio piatto di pasta tra le mani. Vicino a me c'è un gruppo di persone che parla, una donna è rossa in volto, ha gli occhi lucidi e racconta di come abbiano ritrovato il corpo di suo nipote (20 anni) nelle macerie della Casa dello Studente. E' straziante.

Zaino in spalla, però, si riparte. C'è da tornare a Prata D'Ansidonia, passando per Onna (di cui parlerò nei prossimi post) dove i volontari lavorano da giorni senza sosta. Nel campo vicino, a Tussio, c'è bisogno di vestiti per una bambina di venti giorni perché nella notte hanno rubato tutti gli
aiuti del villaggio. Vestiti consegnati, nel mentre un anziano, occhi blu e cappello in testa, ci racconta di come nei primi giorni mancasse il latte in polvere per i neonati. “Adesso – prosegue scherzando – con tutti questi aiuti ne abbiamo almeno 30 litri bisognerà che facciano altri due figli sennò tocca buttarlo...”.

Anche questo vuol dire essere abruzzese: forza d'animo e “due palle così”.


Sarebbe stato troppo lungo racchiude un giorno intero di incontri, di emozioni, di fotografie ecc... Dividerò tutto in puntate con interviste e il viaggio a Onna.

domenica 12 aprile 2009


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2 commenti:

FolleRumba ha detto...

un saluto e tanti auguri

ciao follerumba

silvio di giorgio ha detto...

fai bene a dividere il racconto: se lo fai troppo lungo per quanto sia interessante scoraggerebbe i lettori. aspetto la prossima puntata