VIAGGIO IN ABRUZZO - ULTIMA PARTE

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Quello che vedete qui sopra è un audiovisivo con le fotografie che ho scattato nel viaggio in Abruzzo (consiglio di visualizzarlo cliccando il pulsante HQ). Le singole immagini le pubblicherò a giorni nel mio foto blog. Qui di seguito, infine, la terza ed ultima parte del resoconto con la tappa a Onna.

Arrivare a Onna vuol dire attraversare un passaggio a livello con dei binari muti. Una linea involontaria tra quello che è e ciò che non è più.
Per accedere al paese, o meglio a quel che ne rimane, dobbiamo passare all’interno di un giardino di un’abitazione. Di fronte a noi si para un campo verde immenso pieno zeppo di auto, furgoncini, mezzi con i lampeggianti, gente in divisa o con un microfono in mano.

Mi volto alla mia sinistra e la vedo. Onna. Un paese che non esiste più. A prima vista sembra quasi di trovarsi in un sito archeologico, con un mucchio di persone intente ad osservare dei resti antichi. Invece no. Quei resti fino a una settimana fa erano case integre, luoghi di incontro, posti vivi. In quel mare di macerie sono affondate circa cinquanta persone su un totale di 250 abitanti. Il paese più colpito. Ci avviciniamo a quella che una volta doveva essere una delle vie principali. C’è un nastro bianco e rosso e una guardia forestale che ci blocca. “Fotografate da qui, più in là è pericoloso”. Quel che resta impresso in mezzo a quell’ammasso confuso e grigio sono le gocce di colore che spuntano qua e là. Un tappeto, una sciarpa, un babbo natale. “Levatevi”, intima la guardia anche perché dietro sentiamo un rombo. E’ la ruspa che da lì a breve inizierà a buttare giù le case mentre poco più avanti un signore viene scortato dai vigili del fuoco per andare a recuperare qualche pezzo di vita rimasto sepolto.

Cerchiamo di seguire con l’obiettivo il braccio meccanico. “Spostatevi! Sennò vi crolla il muro addosso!” Ci spostiamo e arriviamo davanti ad un recinto in cui sono parcheggiate delle auto. Anzi, dei cumuli informi di lamiera.

Proseguiamo il cammino e si arriva all’altro pezzo del paese. Le case sono vuote, su una finestra c’è un lenzuolo bianco legato. “L’hanno usato per fuggire dal balcone” mi dice un collega. Il tempo è carico di pioggia. E’ arrabbiato e vedendo questo paese distrutto non si può biasimarlo.

giovedì 16 aprile 2009


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